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Un piede puntato a terra si mosse, il tallone oscillò. Le nocche strisciarono nel fango, feci leva su un polso che non mi riusciva di girare, ma la fronte restò incollata al terreno. Mi tirai su. Lentamente. Trascinai gli scarponi verso la moto, la ruota davanti continuava a girare a vuoto con un cigolio incessante. Provai a rialzarla, ma non avevo forza. Iniziai a tossire, mentre indietreggiavo. Il sangue colava dalla faccia e dalla bocca, lunghe gocce si diluivano nel velo d’acqua steso in una pozzanghera.
Il silenzio si era fatto solido, come se ci fossero dei filtri o come se l'udito fosse stato compromesso dall'impatto. Il cervello sembrava essersi sganciato dal sostegno che lo reggeva fermo nella testa, i colori delle cose venivano fuori dai contorni, le linee si deformavano davanti ai miei occhi, gli oggetti intorno a me si muovevano mellifluamente, in maniera autonoma, persino sovrapponendosi.
Avvicinai lentamente un dito alla tempia, per rendermi conto dell’entità della ferita. Lo immersi nella morbida carne aperta e barcollai quando sfiorai il ruvido bordo tagliente, come di un dente spezzato, di un profondo spacco lungo il cranio. Ingoiai sangue. Macchie rosse diventavano nere e si allargavano tra i miei occhi e gli alberi, tra i miei occhi e il monastero in alto oltre il ponte distrutto, tra i miei occhi e la notte. Finché non oscurarono ogni cosa. Sul mio corpo si aprivano centinaia di ferite attraverso cui il buio penetrava come aria. Allungai un braccio per raggiungere il tronco di un albero davanti a me, ma quando infilai la mano nel buio, non era più dove avrebbe dovuto essere.
Iniziai a muovermi piano in avanti, con una mano alzata per trovare un punto di riferimento qualsiasi, ma ogni cosa giocava a starsene nascosta un centimetro oltre le mie dita. Tutto si era dissolto, la realtà non esisteva più. Era rimasto soltanto il freddo. Riuscivo a vedere le mie mani, le mie gambe, gli scarponi, ma intorno non c'era altro. Mi fermai, crollai col culo sul pavimento del buio. Mi passai le mani sulla faccia. C'era ancora.
Il propagarsi di un tonfo lontano fece vibrare il terreno sotto di me. Alzai la testa e mi guardai attorno. Qualcosa si muoveva sulla linea d'orizzonte alla mia destra con grande lentezza verso di me. Il buio non poteva oscurare neanche quell'immagine. Mi misi in piedi, mi voltai dall'altra parte e iniziai a camminare.
Dove stai andando? Qui non esiste una direzione.
Continuavo a guardarmi indietro per controllare la distanza che si allungava tra me e l’immagine in fondo al buio. Camminava così piano che dopo un po’ era scomparsa. Smisi di preoccuparmene, ma quando girai la testa in avanti, la rividi avanzare con la stessa pesantezza verso di me, come se le fossi andato incontro invece di distanziarla. Mi fermai. Mi girai in senso inverso e ripresi a camminare per un lungo tratto, ma successe la stessa cosa della prima volta. L’immagine mi seguì finché non fui abbastanza lontano, poi riap